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Lo stretching, dall'utile al dannoso
Inviato da : senpai  Lunedì, 04 Dicembre 2006 - 13:07  

Lo stretching è una pratica che porta ad un progressivo allungamento e miglioramento dell’estensibilità muscolare permettendo di raggiungere benefici in termini di flessibilità allenandosi in palestra con costanza e prevenzione degli infortuni muscolari eseguendolo prima dello sforzo.

Al di là della visione agonistica/sportiva c’è anche chi vede, come nello shiatsu, nella flessibilità delle membra e nella libertà di movimento del corpo un modo per approfondire la conoscenza di se stessi, ma la trattazione di queste tematiche esula dalla visone che vogliamo offrire in quest’articolo; vogliamo infatti concentrarci sulla modalità della pratica.

Lo stretching non può essere definito un esercizio “quantitativo”, come le alzate laterale in palestra per esempio, ma, anzi, deve essere inteso come paradigma dell’esercizio “qualitativo”.

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Gli accorgimenti che dobbiamo seguire rendono l’esercizio attivo e ci permettono di migliorare; classico ad esempio è l’errore di piegare le ginocchia durante alcuni esercizi, subito sentiamo che i tendini e i muscoli lavorano meno e difatti potremo scendere anche con la fronte a terra in quella condizione, ma non staremo guadagnando neanche un decimo di millimetro!! Quest’esempio ci introduce alla necessità di imparare a sentire il nostro corpo durante gli allenamenti in modo da esplorarne, apprezzare ed infine superarne i limiti. Molte delle sensazioni che avvertiamo durante la pratica possono farci preoccupare ma invece sono perfettamente fisiologiche, di ciò ci occuperemo nella prima parte di questo lavoro.

I riflessi propriocettivi:

Per propriocezione si intende l’avvertire qualcosa dall’interno, il sentire che qualcosa dentro non va o ci fa apertamene male; questo meccanismo di difesa è attuato da alcune strutture nervose: i fusi neuromuscolari e l’organo tendineo del Golgi. Oltre a fornirci le suddette sensazioni attivano anche dei riflessi inconsci che possono limitare la nostra flessibilità che sono rispettivamente: il riflesso da stiramento e il riflesso inverso da stiramento.

Riflesso da stiramento: se un muscolo è stirato (allungato), si oppone all'eccessivo allungamento contraendosi. Questo riflesso è mediato dai fusi neuromuscolari, particolari organi propriocettivi che, situati nell'interno dei muscoli striati, provvedono sia alla regolazione del tono muscolare sia, appunto, ad inviare al sistema nervoso centrale gli impulsi che scatenano il riflesso da stiramento che consiste in uno spasmo muscolare. Il grado della contrazione riflessa è proporzionale al grado dell'allungamento subito dal muscolo. Se un muscolo è stirato bruscamente, la contrazione riflessa risultante sarà più violenta di quella provocata da un allungamento lento e progressivo. Nell'ambito dello stretching il riflesso da stiramento rappresenta quindi un ostacolo "fisiologico" al raggiungimento di un elevato grado d'allungamento delle fibre muscolari che può essere agevolmente superato con un approccio progressivo all’esercizio.

Riflesso inverso da stiramento: mentre il riflesso da stiramento risponde solo alle sollecitazioni d'allungamento del muscolo, il riflesso inverso di stiramento risponde sia alle sollecitazioni in allungamento sia alle contrazioni, provocando il rilasciamento del muscolo stesso. Questo riflesso è mediato da organi propriocettivi situati nei tendini (organi tendinei del Golgi) e bada a proteggere il muscolo dalle eccessive tensioni quali quelle che occorrono durante energiche contrazioni o allungamenti. La soglia d'eccitamento dei recettori per il riflesso inverso, è più alta di quella per il riflesso da stiramento. Qualora tale soglia sia raggiunta durante un esercizio d'allungamento, i recettori sono in grado di indurre una riduzione della tensione del muscolo.
Questo fatto spiega un fenomeno che è familiare a chi ha esperienza di stretching: quando un atleta mantiene una determinata posizione per un certo periodo, sviluppando una considerevole tensione, può raggiungere un punto in cui il muscolo si rilascia, la tensione diminuisce e permette un ulteriore allungamento.

Il confronto tra questi riflessi fisiologici ci fa capire come non debbano essere considerati come ostacoli nel conseguimento dei nostri obbiettivi, ma, anzi, come alleati da sfruttare, a patto però che se ne capisca la funzione e che se ne tenga sempre conto per renderci conto di quando si esagera. Un'appropriata risposta neuromuscolare durante gli esercizi d'allungamento può portare ad una considerevole riduzione della tensione muscolare con minori possibilità di danni o lesioni dei muscoli stessi e questo spiega la necessità di fare stretching prima di una prestazione sportiva. La pratica si può effettuare in modi diversi e con un numero spropositato di esercizi ma la struttura degli esercizi resta sempre lo stesso; difatti possiamo considerare modi diversi di approccio allo stretching per eseguire correttamente un programma di allenamento, molti dei quali molto validi, fondamentale è però che vengano tutti praticati mantenendosi nei limiti del range articolare individuale, in assenza di dolore ed in modo aerobico. Quando è l’atleta a lavorare su se stesso, deve capire che l’articolazione va stressata al suo limite di tolleranza, va mantenuta la posizione di stiramento cercando contemporaneamente di rilassare le strutture che agiscono sull’articolazione stessa. Durante la fase espiratoria si cercherà di rilassare ed allungare ulteriormente la muscolatura, mentre si dovrà diminuire leggermente il grado di stiramento durante la fase inspiratoria. Tutto questo a condizione che si riesca a stare al di sotto della soglia del dolore, fattore indispensabile affinché questo tipo di lavoro sia efficace. Eseguire uno stiramento muscolare richiede uno sforzo necessariamente graduale e lento per dar modo ai fusi neuromuscolari di percepire l’allungamento, di fornire le informazioni al sistema nervoso centrale e di creare così una risposta adattativa adeguata. Uno stiramento veloce ed eccessivo dei fusi stimolerà come risposta riflessa una contrazione del muscolo. Nella seconda parte di questo lavoro vengono illustrate alcune tipologie di esercizio.

Tipologie d’esercizio:

Stretching gravitazionale: viene esercitato da un compagno sfruttando la forza di gravità. Un gruppo muscolare specifico può essere allungato costringendolo ad arrendersi all’azione gravitazionale. Con questo tipo di lavoro, i fusi neuromuscolari creano inizialmente, per alcuni secondi, un aumento del tono del muscolo in questione, ma una sollecitazione aerobica sostenuta neutralizzerà dopo circa due minuti l’azione inibente dei recettori e, sempre che non ci sia dolore, favorirà l’allungamento. Una respirazione lenta e profonda aiuta.

Stretching passivo: con questa modalità l’atleta, lavorando da solo, porta lentamente il muscolo, o il gruppo muscolare, verso il completo allungamento mantendolo in posizione. Vigono qui le stesse regole dello stretching gravitazionale.

Stretching Facilitato: In questo esercizio il muscolo viene allungato verso il limite massimo per circa 30 secondi. Viene poi chiesto all’atleta di contrarre il muscolo in questione mentre un compagno oppone resistenza per almeno 10 secondi. Il muscolo verrà quindi rilassato e l’operatore applicherà uno stiramento di tipo passivo più in profondità.

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